Ho sempre avuto un rapporto strano con il sonno, tra i periodi in cui soffro d’insonnia ed è tanto se dormo 3 ore per notte e i mesi in cui vado in letargo dormendo circa 11 ore per notte e se non lo faccio non mi reggo in piedi (vado a dormire, anzi crollo ovunque mi trovo prima delle 21). Dopo due settimane di quarantena anche il mio modo di dormire è totalmente sballato, nonostante sto cercando di mantenere una certa routine per non perdere il senso del tempo/dei giorni. Quindi sono le 2.00 di notte e io sono sveglia come un grillo, così vi tedieró (si ho coniugato correttamente il verbo sono andata a Googlerare) con le mie riflessioni.
Stavo leggendo i vostri blog e sono incappata in questo articolo Invito alla diversità di Andrea (Kikkakonekka), a cui ho commentato perché mi ha spinto alla riflessione su me stessa e su quanto mi abbia pensato nella vita il sentirmi diversa, o non conforme alla massa.
Il mio primo ricordo di diversità lo ho dell’asilo, faticavo a fare amicizia con gli altri bambini, ricordo che erano tutti felici di andarci ma io no. Piangevo tutti i giorni, un vero dramma, io lì non ci volevo stare, non volevo nemmeno andare in gita o a casa delle amichette, ero proprio terrorizzata dallo stare lontano dalla mia famiglia. Alle elementari non è andata poi meglio, anche se verso gli 8 anni ho cominciato a fare amicizia e “gruppo” con le mie compagne di classe.
Le medie le ho fatte in un altro paese (dato che avevamo traslocato), a pochi chilometri ma non conoscevo nessuno. Non sono riuscita a fare amicizia ne in classe ne nel quartiere dove abitavo. Inevitabilmente ho perso i contatti con le amichette delle elementari. Fortunatamente sono riuscita a stringere il rapporti con le ragazzine con cui facevo danza, e nonostante avessi cambiato anche l’associazione sportiva lì non ho avuto difficoltà a legare forse perché avevamo un interesse in comune.
A scuola però non ci riuscivo proprio a crearmi delle amiche. Eravamo quasi tutti femmine in classe e per quanto provassi ad omologarmi mi sentivo fuori posto ed esclusa. Se non potevo essere come loro volevo avere un motivo valido per essere esclusa così ho spinto proprio sulle diversità. I miei non potevano permettersi di acquistarmi vestiti di marca ed io ho optato per un mio look fuori moda ma mio. Mi vestivo sempre in nero o con dei pantaloni militare (che mia madre odiava perché erano quelli che mi avevano preso per quando andavamo nel bosco).
Avevo un atteggiamento ribelle, contro le ingiustizie ed ero convinta che in qualche modo avrei potuto cambiare il mondo un giorno. Ero affascinata dalla politica, dall’arte astratta, addirittura dal balletto (3 cose che adesso non amo più). In terza media mi sono fatta bocciare “per principio” si una gran cazzata penserete, in realtà è stata la mia benedizione. Il primo giorno di scuola me ne stavo in disparte con il mio atteggiamento da asociale, nemmeno 5 minuti dopo mi sono ritrovata a chiacchierare amabilmente con le mie compagne di classe, ero finalmente parte di un gruppo. Probabilmente è stato uno degli anni più belli della mia vita.
Alle superiori nonostante fossi in una classe a prevalenza femminile non ho poi fatto fatica a leggere. Mi sono divertita e ho creato un personaggio attorno a me, sono diventata un po’ un giullare così non avrebbero riso di me ma con me. Questa maschera l’ho portata avanti per anni e devo dire che alla fine mi ci divertivo anche se talvolta ne ho sofferto. Però sono caduta nell’omologazione nel mettere da parte la vera me per essere parte di qualcosa.
Ho iniziato a lavorare presto per cui è stato difficile mantenere amici coetanei (dato che loro studiavano e avevano dei ritmi totalmente diversi dai miei). Contro la mia vita sociale ci si metteva anche mia madre con le regole severe (coprifuoco, questa casa non è un albergo, tutti devono aiutare, non sei mai a casa…). Sono comunque riuscita a trovare un moroso che nonostante non ci avessi mai sperato è durata per parecchi anni. Frequentavo la sua compagnia di amici, ma erano in prevalenza maschi e più grandi di me. Con loro mi ci trovavo bene e mi sentivo molto più simile a loro che alle mie coetanee.
Ho dovuto lottare per anni con l’alopecia areata che arrivata quando ero ancora adolescente mi ha stampato in piena faccia quanto io fossi diversa da tutti gli altri. Ho imparato cosa significava essere realmente diverso. Ho capito cosa provavano tutti i giorni le persone diversamente abili. Cosa significa il disprezzo degli estranei, gli sguardi addosso, e anche la compassione (quanto la ho odiata).
Per chi non lo sapesse l’alopecia areata è una patologia autoimmune che in alcuni casi è scatenata dallo stress, ma lo stress non è la causa della patologia può essere la scintilla che accende il cerino. Il mondo intero continua a suggerire cure talvolta davvero originali (per non dire assurde). Le domande del tipo “perché non ti curi” sono all’ordine del giorno, la verità è che non esiste una cura che funzioni, i capelli cadono e crescono sia con le cure che senza, fa ciò che vuole. Poi ci sono quelli che ti dicono “ma datti una calmata così ti ricrescono” ma va, non ci avevo pensato mi sarebbe venuta voglia di rispondere un sacco di volte, che poi come già detto lo stress influisce fino a un certo punto. Per non parlare di chi senza troppi giri di parole ti dice che gli fai impressione quando non indossi la parrucca. Ovviamente vieni paragonato spesso alle persone che che fanno chemioterapia, che anche su questo discorso stendiamo un velo pietoso, mica hanno deciso di avere un tumore.
Quando la relazione con il mio morsetto è finita ho nuovamente fatto un enorme fatica a crearmi degli altri amici. Ho continuato ad interpretare la parte del giullare con discreti risultati. Nel frattempo non mi sentivo mai totalmente al posto giusto io non amavo fare molte “cose da femmina” come la società impone e non amavo così tanto vestirmi femminile. Mi sentivo spesso a disagio con gonna e tacchi ma preferivo un look più sportivo fatto di felpe e jeans.
Finché sono arrivata a capire che forse non ero nemmeno etero, quindi dubbi, tragedie, pianti, psicologi, sensi di colpa verso anche me stessa per non averlo capito prima. Quando andavo in giro mi sentivo come se avessi un cartello al collo con scritto lesbica. Avevo la sensazione di essere nuovamente sotto lo sguardo di tutti come quando l’alopecia mi aveva colpito nel modo più aggressivo.
Alla fine ho accettato anche questo, anche se in tutta onestà non ho nemmeno capito bene che cosa sono o semplicemente non mi interessa più, so di non essere ne etero ne lesbica e questo mi basta e mi avanza. Sono perfettamente conscia di essere nella categoria più discriminata, non è vero che abbiamo più scelta, le lesbiche ci stanno alla larga perché vogliono solo lesbiche “pure”, gli uomini ci stanno attorno solo perché sperano di fare cose a 3 (per chi non fosse chiaro chi è bisessuale non è che per forza è interessato a questo genere di cose, anzi molto spesso è monogamo). Ovviamente ho generalizzato fortunatamente c’è anche chi sceglie la persona senza pensare troppo a ste cose.
Concludendo accetto le mie diversità, é bello che ognuno abbia delle qualità diverse altrimenti sarebbe un mondo noioso. Però tante volte mi piacerebbe essere un po’ meno unica per avere una vita più semplice, per poter passare un po’ più inosservata. Perché è una gran fatica sorridere certi giorni in cui tutto ti va male (perché non può sempre andare bene) ma sai che se tieni il muso ti sentirai dire “oh poverina vedrai che troverai chi ti accetta anche se sei senza capelli” come se il mio unico problema fossero i capelli. Perché è difficile ragionare sempre prima di dare un abbraccio a una ragazza perché potrebbe pensare che ci stai provando anche se sei fidanzata con un uomo. Diventa anche difficile praticare uno sport in cui devi utilizzare uno spogliatoio perché se scoprissero che non sei etero non ti vorrebbero più lì. Per la coronaca non mi eccita guardare le altre donne in spogliatoio e anzi, siccome mi sento a disagio, tendo a stare con la faccia verso il muro tutto il tempo.